THE WOLF OF WALL STREET
Che The Wolf Of Wall Street – il romanzo della vita avventurosa e borderline del broker newyorchese Jordan Belfort – si sarebbe prestato ad un’ottima e fortunata trasposizione cinematografica era sin troppo ovvio.
Il rampantismo e l’avidità degli agenti di borsa negli anni novanta dell’eldorado finanziario, soprattutto se uniti alla bramosia di potere, fama, vizi e nessuna virtù, è materia troppo ammiccante e pruriginosa per non raccontarla nel suo apogeo, prima del crollo, del castello di sabbia che si sbriciola, delle finzioni smascherate e dal nulla emerso dal magma delle illusioni dei facili guadagni.
“Ma se oltre a noi guadagna anche il cliente non è meglio per tutti?” , chiede Belfort/Di Caprio nella ben presto scalfita ingenuità del praticante al suo capo, un ottimo Matthew McConaghey, in un cameo meravigliosamente in bilico tra parodia, incisività e linguaggio del corpo.
Sesso a profusione, droga a fiumi, cinismo distillato e offerto come stile di vita, f**k come se piovesse. Sono gli anni novanta degli american psycho visti attraverso lo sguardo patinato di oggi, caduti nel burrone e non issati in cima al mondo come Sherman McCoy nel Falò Delle Vanità, quello sì ritratto impietoso di quegli anni. Ciò che sembra mancare infatti, è lo sguardo d’insieme, la storia sembra avulsa dal contesto sociale e si risolve in una boccaccesca, divertente, pirotecnica e irresistibile commedia di ascesa e caduta. Dove Di Caprio, nel suo gigionismo ruffiano, la fa da padrone, privato però del tormento e dell’afflato di altre prove con Scorsese, vedi Shutter Island, Gangs Of New York o The Departed. E qui veniamo al grande cineasta italoamericano, che offre una superba regia, anche se di maniera e parente stretta dello stile leccato di Boardwalk Empire. Pare averlo girato in punta di dita, senza graffi d’autore, non fosse per l’incontro di Belfort col suo informatore al ristorante Rao’s dell’Upper East Side, che i cinefili attenti avranno riconosciuto come l’avamposto impenetrabile degli italo-americani di New York. Una scena, scura e plumbea, degna di Mean Streets e di Quei Bravi Ragazzi. Ottima ed evocativa la colonna sonora, che Scorsese, al solito, ha affidato a Robbie Robertson. Cenno finale per gli enormi occhi azzurro cielo di Margot Robbie, nella parte della mogli di Jordan Belfort. L’attrice australiana sdogana l’immagine puritana e timorosa della serie Pan Am per trasformarsi in una bomba sexy, con carattere ed artigli per stare al fianco di tale, distruttivo e paranoico individuo.